la cifra

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Come ha spiegato Juliane Vogel in un saggio sulla visione aerostatica, la forma sferica della mongolfiera può essere la metafora di un occhio liberato dai condizionamenti del corpo. La vista dall’alto, dagli occhi-mongolfiera di Odilon Redon alla New Vision fotografica degli anni ’20 del secolo scorso, ha rappresentato l’utopia di un occhio disincarnato e mobile, virtualmente in grado di assumere su di sé tutte le funzioni essenziali del corpo.
La cifra è innanzi tutto un’ipotesi di visione fotografica che contempla, al contrario, una re-incarnazione dello sguardo: uno sguardo-corpo su di un altro corpo.
Nella sessione di posa entrambi i corpi, quello del fotografo e quello fotografato, sono immersi nel buio totale, in attesa ma vigili e in ascolto. A intervalli non regolari, e senza il controllo del fotografo, si aziona l’otturatore della fotocamera, posizionata sul soffitto dello studio. Sempre al buio fotografo e fotografato si dirigono velocemente verso il rettangolo luminoso segnato a terra al centro della stanza. A ogni scatto la persona fotografata “inquadra” nel rettangolo una porzione diversa del proprio corpo, che solo in questo momento il fotografo può/deve vedere illuminandola a mano con una piccola torcia tascabile, per permettere nei successivi 20 secondi di esposizione il formarsi dell’immagine fotografica. Nella reiterazione degli scatti, nella lunghezza della sessione di posa, nella densità del buio, nel paradosso di uno sguardo sovrastante ma non dirigente, nella successione aleatoria di parti anatomiche, nella fatica fisica di una posa attiva, nella modalità “riduzionista” e presentativa, nella dimenticanza di sé che il procedimento induce, si producono le immagini di un corpo nel quale la personalità, dal quale era stata dissociata artificialmente, torna a precipitare.
La cifra (2016)
Serie fotografica

 

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